Cava 1La pubblicazione del “Rapporto Cave 2014” di Legambiente ha rappresentato per la Puglia l’ennesima iniziativa, animata da un giudizio preconcetto nei confronti del settore, finalizzata ad alimentare una ingiustificata demonizzazione dell’attività estrattiva regionale attraverso la rappresentazione di una realtà che è solo parziale e, ancor più grave, distorta.
La descrizione offerta dal rapporto 2014 mal si concilia, infatti, con la certificazione ufficiale dei numeri e dei valori del settore che la Regione Puglia, come sempre, ha effettuato con il proprio annuale “Rapporto sullo stato delle attività estrattive” la cui ultima edizione 2012-2013 è liberamente consultabile alle pagine web dell’Ufficio Controllo e Gestione del PRAE al link http://ambiente.regione.puglia.it/Servizi/files/Estrattive/RapportoAES12_13.pdf.
Non possiamo che far notare come, ancora una volta, Legambiente abbia piegato a favore di una tesi evidentemente contraria all’esercizio in Puglia dell’attività di cava rilevazioni e statistiche che, se correttamente lette, offrono invece un quadro d’insieme decisamente diverso.
E tale incomprensibile azione portata avanti dall’associazione ambientalista è stata ulteriormente aggravata dal goffo tentativo di avvalorare la propria tesi demolitoria confrontando dati di anni diversi e richiamando l’attenzione dei media e della comunità su aspetti artatamente enfatizzati e decontestualizzati per rafforzare ulteriormente la posizione espressa.
Quali soggetti protagonisti di un processo che, insieme alle istituzioni deputate, ci ha visto impegnati in questi anni di lavoro per rilanciare questo settore e la lunga filiera ad esso collegata, per creare nuove opportunità di lavoro e, soprattutto, per rendere realmente compatibile l’esercizio dell’attività estrattiva con il rispetto del territorio, non possiamo accettare una visione così distorta della realtà.
Entrando nel merito della questione, l’analisi di alcuni numeri può offrire la dimensione dell’equivoco indotto ma anche rappresentare bene le difficoltà di un’attività economica che, al pari di altri settori produttivi, sta già pagando un prezzo troppo alto e che, al contrario, andrebbe sostenuta per non disperdere – a vantaggio di altre aree del Paese o del mondo – le primarie competenze tecniche acquisite, qualità dei prodotti ed iniziative imprenditoriali che possono invece utilmente essere messe a diposizione della Puglia per superare lo stato di forte crisi economica ed occupazionale che oggi viviamo.
Ci chiediamo, preliminarmente, che senso ha sovradimensionare il settore alterando il numero delle cave attive (nel rapporto CAVE 2014 per la Puglia ne sono indicate 415) quando lo stesso Ufficio Controllo e Gestione PRAE della Regione ha rilevato sia nel 2011 che nel 2012 – ultimo anno ufficialmente disponibile - un sostanziale dimezzamento del potenziale produttivo del settore affermando che su 418 e 415 cave autorizzate rispettivamente solo 233 e 230 hanno effettuato scavi nel biennio considerato, mentre la restante parte è rimasta inattiva a causa della mancanza di commesse o della non convenienza economica. In attesa di conoscere i dati dell’attività per il 2013, vale la pena sottolineare che al 31/12 dello scorso anno il numero di cave autorizzate in Puglia si era ulteriormente ridotto a 399 unità.
Così come ci chiediamo qual è il senso di parlare di numeri impressionanti riferendosi al materiale estratto quando i valori riportati – circa 13 milioni mc totali di cui 10,3 solo per gli inerti – sono quelli della precedente edizione del rapporto regionale (riferiti quindi al 2011) e non gli ultimi disponibili che registrano invece una riduzione di oltre il 23% del materiale estratto nel 2012, anno in cui il volume complessivo si è attestato a poco più di 9,9 mln di mc (7,8 per gli inerti).
Siamo di fronte, quindi, ad un trend discendente che - sempre attraverso le rilevazioni regionali - si rispecchia tanto nel rovinoso calo di produzione fatto registrare dalle aziende del settore che tra il 2011 ed 2012 (BA -37,0% BT -12,7% BR -14,1% FG -30,2% LE -23,6% TA -14,9%) ha registrato un calo complessivo medio del -23,6%, quanto nella brusca riduzione dei fatturati globali e degli utili che, per gli stessi anni, si sono ridotti rispettivamente del 19,7% e del 12,6%, in linea con il percorso discendente imboccato nel 2008.

E tale quadro decisamente negativo si ripercuote ovviamente anche sull’export pugliese, sul quale anche la stessa Regione Puglia ha tanto investito in questi ultimi anni, così come confermato dallo studio di Unioncamere Puglia “COMPETERE? È UN'IMPRESA. L'ECONOMIA PUGLIESE NEL 2013” – presentato nel marzo scorso – dal quale si evince, tra gli altri, una riduzione del 15,79% del valore delle esportazioni, certamente imputabile alla particolare situazione dell’ILVA e dell’indotto ma anche al calo registrato dal settore lapideo regionale.
Altra questione su cui occorre poi fare chiarezza è quella relativa alla tipologia dei materiali estratti: non è affatto vero che in Puglia si estrae principalmente sabbia e ghiaia (che invece rappresentano solo il 3% delle quantità totale). Il calcare per inerti rappresenta il 78% della produzione totale del settore e le pietre ornamentali solo il 15%.
Prosegue quindi, anche in tal modo, una ricostruzione della realtà posta a servizio esclusivamente di una ingiustificata richiesta di tariffe più alte da porre a carico degli operatori che, già oggi, come appare evidente dal quadro sopra tracciato, accusano gli effetti della pesante crisi edilizia ma che, nonostante tutto, intendono proseguire con i propri investimenti per sostenere un settore che colloca la Puglia tra i principali produttori italiani per la qualità ed il prestigio dei materiali che riesce a collocare sul mercato.
Un risultato, quello raggiunto dalle imprese pugliesi, che è riconosciuto a livello nazionale ed internazionale e che è frutto di una responsabilizzazione quotidiana degli stessi operatori tanto nella organizzazione del proprio lavoro – improntato al rispetto del quadro normativo che regolamenta e fissa vincoli invalicabili all’esercizio dell’attività estrattiva – quanto alla realizzazione degli interventi necessari alla fine del ciclo produttivo.
Su tale questione occorre peraltro fare un’ulteriore precisazione.
La definizione di cava dismessa è legata alla conclusione delle operazioni di scavo e non al suo stato di abbandono. Se ci riferiamo alle attività estrattive regolari, svolte con la legittima autorizzazione da parte dell’Amministrazione competente, il numero delle cave ripristinate secondo un piano di recupero progettato ed approvato prima dello svolgimento dell’attività è già elevatissimo. Quelle ancora in esercizio subiranno la stessa sorte ed a supporto di questo ogni attività estrattiva è accompagnata da una polizza fideiussoria che garantisce la copertura finanziaria di tutti i costi necessari alla sistemazione finale della cava.
Le risorse derivanti dalle tariffe pagate dalle aziende che regolarmente svolgono la propria attività sono inoltre destinate a coprire i costi di recupero di particolari aree maggiormente degradate. E’ evidente, tuttavia, che il loro impiego effettivo da parte della Regione Puglia è vincolato agli impegni connessi al Patto di Stabilità, quindi non può certamente imputarsi alla categoria degli imprenditori alcuna responsabilità in ordine al recupero di aree oggi ancora in stato di abbandono.
Non riscontriamo, quindi, alcuna situazione anomala per la Puglia se non quella derivante da una profonda crisi del settore certificata dai dati ufficiali che andrebbero letti e commentati con la dovuta serenità.
Come Confindustria Puglia, in rappresentanza anche delle tante imprese associate che, credendo fermamente nel rispetto delle regole e nell’utilità di un trasparente dialogo tra le parti, hanno aderito numerose al Distretto Lapideo Pugliese promosso dall’Amministrazione regionale con la L.R. 3 agosto 2007, n. 23 siamo disponibili a confrontarci sui numeri di questa crisi per ricercare soluzioni efficaci in grado di garantire il futuro al settore lapideo regionale.